Almeno tre significati si ritrovano alla voce “cammino”: il percorso che prevede uno spostamento, in genere a piedi, da un luogo all’altro; il progresso, lo sviluppo, l’avanzamento della scienza e anche della vita umana. Infine, il cammino è associato al comportamento, alla condotta morale: stare o proseguire sul “retto” cammino, si dice. Non si cammina solo fisicamente, ma anche con la mente, con i pensieri, con il cuore. Con le emozioni, con i sentimenti. Tutto in noi è un procedere, lungo una strada che è il cammino della vita («Nel mezzo del cammin di nostra vita», Dante, Inferno, I,1); compreso il cammino di chi, disperato, scappa dalla guerra e incontra, lungo la strada, solo filo spinato.
Nel cammino è importante la meta, ma anche la modalità e il tempo per conquistarla. Ma perché camminare e conquistare una meta? «Camminando si apprende la vita, camminando si conoscono le persone, camminando si sanano le ferite del giorno prima. Cammina, guardando una stella, ascoltando una voce, seguendo le orme di altri passi» (Ruben Blades). Non camminare – quindi stare fermi – significa non apprendere, non conoscere le persone e la vita, non conoscere se stessi, non rischiare, non guarire.
Quante persone, per paura o per incapacità, restano ferme. Se, come affermava Cartesio, «due cose contribuiscono ad avanzare: andare più rapidamente degli altri o andare per la buona strada», il camminare non è una decisione, è un obbligo. È vero, «c’è un momento in cui si compie un piccolo passo, si devia di un millimetro dalla solita via, a quel punto si è costretti a posare anche un secondo piede e d’un tratto si finisce su un percorso sconosciuto» (David Grossman). Ma, anche se il cammino è tortuoso, ventoso, solitario, pericoloso, sbagliato, certamente non è statico, offre ripetute possibilità di cambiamento, di scelte successive. È il camminare dell’ “interiorità”: condizione di apertura, di scoperta, di caduta e di solitudine; condizione che rende vivi e che trasforma. Atto che permette di lasciare la propria orma: «Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi» (Italo Calvino). Il cammino ha il carattere di infinito e di eterno, apre al Mistero.
Una storia narra di un sasso lungo una strada. La persona distratta inciampa sul sasso; quella violenta lo usa come arma contro altri. L’imprenditore lo usa per costruire, il contadino stanco lo usa coma sgabello. I bambini giocano con il sasso trasformandolo, con la fantasia, in pallone. Davide uccide Golia, ma Michelangelo usa il sasso per farne una delle sculture più belle. La morale è che il sasso non fa la differenza, non esiste sasso nel proprio cammino che non possa essere sfruttato per la propria crescita. Il cammino dà la possibilità di trovare tanti sassi. Sta a noi raccoglierli e trasformarli per riscattare la nostra vita dalla irrilevanza e renderla significativa.