Devo ammettere che spesso è imbarazzante per me augurare “buon lavoro” quando, girando per il Paese, incontro tanta gente disoccupata o impegnata in lavori precari. L’augurio che dovrebbe riattivare energia e vita rischia di spegnere i sorrisi e rattristare i volti, soprattutto dei giovani. Allora mi sono più volte chiesto: un Paese democratico può permettersi questa “emorragia di vita”? Purtroppo “sì”, capita! E continuerà a capitare in un insopportabile clima di indifferenza fin quando – imprenditori, lavoratori, sindacati, partiti, le forze della società civile, inclusa la Chiesa – non avvertiranno il bisogno di guardare nella stessa direzione. Continuiamo a dircelo da troppo tempo: è in gioco il futuro del Paese. Ho ancora negli occhi il volto del Papa quando, lo scorso maggio a Genova, si è commosso vedendo il porto da cui salparono i suoi nonni e suo padre. È di nuovo ed è ancora così. Il lavoro richiede oggi un nuovo grande viaggio, che non ha connotati geografici, perché la connessione ha in parte eliminato le distanze, ma chiede nuovi fondamenti antropologici ed etici per prepararsi ai nuovi lavori dell’industria 4.0 e alle conseguenze del rapporto robot- uomo. Chissà se l’evento al quale si sta preparando la Chiesa italiana potrà aiutare! Me lo chiedo perché al lavoro sarà dedicata la prossima «Settimana sociale dei cattolici italiani» (Cagliari, 26-29 ottobre). Nell’intenzione di chi vi sta lavorando con passione e competenza, a Cagliari non si svolgerà un convegno. Se ne celebrano già troppi che nascono e muoiono, dopo aver solleticato un po’ o parecchio la vanagloria dei soliti noti. Per Cagliari si sta lavorando per superare una buona volta le strettoie nelle quali rischiano ancora di rinchiuderci discussioni senza fine e soluzioni talvolta improvvisate. …. (testo completo)
Il Sole 24 Ore – Editoriali e commenti – 19 agosto 2017 – pag. 6