Avevo quasi rinunziato a pubblicare queste considerazioni. Ho aspettato prima di tornare su un evento dal quale ci separano ormai alcuni mesi. Ho aspettato anche perché, in “tempo del raccolto”, eventi simili a quello cui faccio riferimento continuano a far notizia. Non so se è ipocrisia, disinformazione o altro, ma non riesco ancora a capire come, nel 2017, si possa parlare di “ghetto”, addirittura di gran ghetto e di caporalato senza stupirsi, senza ribellarsi, senza indignarsi.
No so quanti conservano impresse le immagini – era il mese di marzo – del “ghetto di Rignano” in fiamme. Un luogo in provincia di Foggia che fino a quel momento era sconosciuto ai più (ma non alla Caritas diocesana), come sconosciuti erano e rimangono gli ormai ex abitanti del ghetto. Persone con l’unico bisogno di lavorare. In quei giorni, la cronaca dell’incendio ha “bruciato” l’essenza della notizia ovvero i due ragazzi immigrati morti. Ceneri di case fatiscenti e di cose apparentemente insignificanti (ma solo per molti di noi) hanno coperto i volti, gli occhi dei tanti ragazzi, ex abitanti, che – richiamati dal sogno di un lavoro dignitoso e di una vita serena – hanno affrontato penosi e faticosi viaggi della speranza. …. (Il Sole 24 Ore – Editoriali e commenti – 12 agosto 2017 – Leggi l’articolo)