Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Fiducia
Avere fiducia. Dare fiducia. Guadagnarsi la fiducia. Godere della fiducia. Perdere fiducia. Tutte esperienze nelle quali il soggetto viene coinvolto al punto che la sua vita può uscirne fortemente ridisegnata. Chi ha fiducia e dona fiducia vive in maniera serena i frutti di questa reciprocità e non fa fatica a mettersi ragionevolmente in gioco. Perdere invece la fiducia altrui è l’ anticamera della perdita di fiducia in se stessi e il primo passo per rinunciare a investire le proprie energie in una direzione qualsiasi. A differenza di quanto possa apparire, “fiducia” è una di quelle parole che viaggiando di bocca in bocca rischia di essere banalizzata, di perdere il suo significato o di vederlo stravolto. Grazie a chi investe sulla fiducia però può anche uscirne arricchita. Sempre comunque il lasciarsi contagiare dalla fiducia o il rifiutarla è problematico. La fiducia, che i Greci chiamano pistis, è, a seconda dei casi, la fede, la fedeltà, la credibilità, ma anche una garanzia economica che si offre a qualcuno. Ma è anche la personificazione della Lealtà (la dea Pistis). Il sostantivo femminile deriva dal maschile pistos, un termine ancora più deciso e forte che per i Greci rimanda in maniera chiara e senza equivoci a «colui che non tradisce». Eschilo, infatti, nell’ Agamennone – dramma di guerra – conferisce solo al pistos il privilegio di stringere accordi. Nel Nuovo Testamento, in particolare in Giovanni, il termine viene esteso a tutti coloro che sono «pieni di fede». Il verbo greco (pisteuo), nella sua attestazione più tarda, ad esempio con il grammatico Polluce, crea collegamento fiducia-verità, per cui colui che è degno di fiducia diviene, quasi per sillogismo, «colui che dice il vero», e viceversa. Il mondo latino, pur conservando la ricchezza semantica presente nel mondo greco, ha associato il termine “fiducia” all’ ambito giuridico e a quello morale. La diversità tra quello che avviene nel mondo greco e la concezione che della fiducia si ha nel mondo latino trovano espressione nella diversa lettura che della vicenda di Medea danno il tragediografo greco Euripide e il latino Seneca. Nel primo, Medea rinfaccia a Giasone di aver oltraggiato la sua pistis; si sente infatti oltraggiata nella sua intimità; è stata tradita e mandata in frantumi la sua fedeltà. Nel latino Seneca, Medea si muove su un piano diverso: è pazza, secondo alcuni, ma non d’ amore, è fuori di senno poiché la sua fides giuridica è stata tradita; l’ oltraggio subito è un fatto sociale e non riguarda la sua intimità, come per la cultura greca; è stato tradito quel do ut des alla base dei legami matrimoniali antichi che prevedevano un accordo di natura giuridica fondato su uno scambio pratico, più che d’ amore. Papa Francesco, senza rifiutare questa distinzione, va oltre: «una famiglia in cui regna una solida e affettuosa fiducia, e dove si torna sempre ad avere fiducia nonostante tutto, permette che emerga la vera identità dei suoi membri e fa sì che spontaneamente si rifiuti l’ inganno, la falsità e la menzogna» (Amoris laetitia, 115).
di Mons. Nunzio Galantino