L’università «attende un cambio di prospettiva», infatti «non va considerata più come voce di spesa, ma come investimento». Lo ha evidenziato monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei e vescovo emerito di Cassano all’ Jonio, intervenendo al Convegno Nazionale ‘Università 2020′, promosso dall’ Associazione italiana docenti universitari (Aidu), in corso presso l’Università di Roma Tre.
«La situazione dell’università – ha osservato il presule – è la situazione di qualsiasi realtà che in questo momento attende: attende dei segnali, attende un’ attenzione maggiore come tutta quanta la ricerca, perché penso che finché la voce ricerca e la voce welfare saranno considerati come voci di spesa e non come voci d’investimento, di passi in avanti se ne faranno molto pochi». L’università quindi «è una delle realtà in attesa di segnali forti da parte di chi governa: segnali positivi ce ne sono, e bisogna anche riconoscerli, però se si dice che questo basta è pericoloso ».
Nella sua riflessione monsignor Galantino ha osservato che sono i valori gli «anticorpi» su cui «bisogna investire per aiutare l’uomo postmoderno – e quindi ognuno di noi – ad uscire dal fatalismo nel quale sembriamo troppo spesso rifugiarci». «Il recupero di questi valori – ha aggiunto – passa attraverso il rifiuto del modello di uomo a una dimensione e il recupero di una concezione integrale dell’ uomo, alla quale siamo stati richiamati esplicitamente da Papa Giovanni Paolo II, da Papa Benedetto XVI e ultimamente, a Firenze, dallo stesso Papa Francesco».
A questo proposito il segretario della Cei ha suggerito una sorta di decalogo per un’antropologia integrale, fatto di «una serie di valori per lo più minoritari, svalutati, censurati e dimenticati intorno ai quali, però, l’uomo contemporaneo deve imparare a ritrovarsi». E cioè «la preservazione della memoria del passato», «la salvaguardia della pro-tensione verso il futuro», «la difesa della cultura», «la coscienza dell’invisibile», «il senso del limite », «la coscienza della pluralità e della relatività dei nostri modelli di comportamento», «la virtù dell’ umiltà e l’arma dell’ironia per reagire alla ybris, alla stupidità che sempre insidia l’ agire umano », «il rifiuto di privilegiare un unico linguaggio», e infine «l’impegno politico per debellare l’ingiustizia e l’oppressione». (G.C.)
Fonte: Avvenire – 28 maggio 2016 – pag. 10