Is 52,7-10; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18
Basta andare un poco oltre l’involucro chiassoso, multicolore e superficiale che purtroppo impazza per le nostre strade e fermarsi in silenzio davanti al Presepe per restituire al Natale – al nostro Natale – quella carica e quella vitalità che di sicuro il Natale porta con sé e che ci spinge a proiettarci anche ben oltre l’aria ovattata e piena di incenso di certe nostre celebrazioni.
«Il Verbo si è fatto carne»: quante volte abbiamo letto e sentito questa affermazione, che torna centrale anche nel Vangelo di oggi. Un’affermazione che ci è diventata tanto familiare da non smuoverci più tanto di tanto. È diventata una non-notizia; una cosa risaputa che a un certo punto deve arrivare e arriva. E porta con sé un insieme di cose anch’esse più o meno risapute. Rituali, nel senso stanco del termine.
«Il Verbo si è fatto carne». La più grande notizia ridotta molto spesso a una non-notizia, incapace di trasformare la nostra storia.
Eppure il Natale cristiano è tutto lì …in quella frase! Ed il presepe, nella sua essenzialità – con quel bambino adagiato nella mangiatoia – non è altro che la spiegazione di quella frase: “Il Verbo si è fatto carne”, “Dio si è fatto uomo”, o meglio ancora “Dio si è fatto bambino”. E per capire di più quello che è avvenuto – e che, in alcune religioni, è visto addirittura come uno scandalo e come un’offesa a Dio – dopo aver sostato per un poco davanti alla grotta di Betlemme, bisogna sapersene allontanare e cominciare a vedere come concretamente il Dio Bambino è diventato l’Emmanuele, il Dio con noi. Solo allora capiremo che il Natale ci riguarda da vicino e noi non lo celebriamo per dimenticare per un poco la nostra fatica di vivere e per avere per qualche ora il cuore leggero. Quel Bambino adagiato nella mangiatoia, non sta lì solo per provocare qualche sentimento passeggero di tenerezza dentro di noi. Anche perché quel Bambino non è rimasto sempre lì: è cresciuto. Le sue manine sono diventate le mani che hanno toccato occhi per far vedere e orecchie per restituire l’udito; il suo cuore è diventato subito un cuore che batte di passione per chi vive nella solitudine ed emarginato.
“Il Verbo si è fatto carne”, ha assunto cioè una consistenza e una forma precisa: la consistenza e la forma dei gesti compiuti da Gesù:
– “il Verbo si è fatto pane” e aspetta che io faccia qualcosa per saziare la fame che Lui ancora patisce in tanti bambini- uomini e donne.
– “il Verbo si è fatto carezza” e chiede anche a me di non far mancar una carezza a chi ne sente il bisogno.
– “il Verbo si è fatto lacrime”: lacrime di solidarietà per le tante situazioni di bisogno che sono presenti nel cuore di tante persone e mi invita ad asciugare le tante lacrime che continuano a rigare, soprattutto, nel segreto, il volto di tanti papà e di tante mamme; di tanti giovani che fanno fatica a progettare in maniera dignitosa il loro futuro; di tanti bambini, ai quali viene negata accoglienza, proprio come al Bambino di Betlemme; o a quelli che vengono strappati al bisogno di tenerezza.
Ecco cosa c’è dietro e dentro quella frase di Giovanni: «Il Verbo si è fatto carne»! Ecco cosa celebriamo noi a Natale: un Dio che viene come bambino! E un bambino vive solo se qualcuno lo ama e si prende cura di lui. Non ci disturberà se non lo vogliamo. Ma accettare di avvicinarlo alle nostre labbra per baciarlo (quanti baci al Bambinello del presepe in questi giorni!), accettare di prenderci cura del Bambino di Betlemme, accogliendolo nella propria vita vuol dire rivoluzionare la propria esistenza, vuol dire crescere con Lui, far proprie le sue logiche, che sono logiche rivoluzionarie. Le logiche inaugurate da quel bambino sono logiche che disturbano il perbenismo, anche quando questo trova casa nella Chiesa.
Altro che il Natale ridotto a musichetta da Carillon!
Fermarsi davanti al Presepe e partecipare all’Eucaristia a Natale vuol dire fare un carico di energie spirituali e affinare la propria sensibilità spirituale; e così, avvertire forte che quel bambino (“Il Verbo fatto carne”) preso tra le braccia e baciato mi chiede di farmi risposta ai bisogni degli ultimi, mi chiede di farmi carezza per chi ha il cuore spezzato, mi chiede di farmi vicinanza a chi sente forte il disagio della solitudine.
Chissà di quanti Natali c’è ancora bisogno perché anche le nostre parole diventino carne e le stesse nostre celebrazioni si facciano gesti credibili di un Natale celebrato e vissuto da uomini e donne amanti della vita buona del Vangelo.