Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Vi è un mondo – meglio, parlare di un insieme di “non luoghi” – che vive di affermazioni riguardanti eventi che potrebbero verificarsi, ma dei quali nessuno ha certezza totale. Tali sono, ad esempio, il mondo delle assicurazioni, del mercato finanziario, del meteo e delle scommesse.
Certo, il controllo e la quantità di informazioni disponibili raggiunta nei vari ambiti del nostro vivere rendono sempre più credibili le probabilità ben calcolate. Nell’ambito medico, ad esempio, queste stanno permettendo il progresso e l’avanzamento del nostro benessere. Anche in fisica, ritenuta per antonomasia la scienza delle scienze, sembra non si possa fare a meno della probabilità. In particolare, la fisica quantistica ci ha fatto scoprire che l’osservazione della realtà e le leggi che la regolano sono solo una manifestazione del reale, la più probabile fra le tante altre forme di manifestazione del reale.
Lo stesso mondo dell’Intelligenza Artificiale (= IA) è un insieme di sistemi che apprendono, assemblano e divulgano informazioni e contenuti utilizzando algoritmi. Questi scelgono la soluzione più probabile e la offrono come la migliore possibile, a seconda di alcuni vincoli e di alcuni limiti. A dispetto di quanti tendono ad attribuire alla IA carattere di assolutezza nelle risposte che fornisce. Dal momento che, come ricorda G. Giorello, «così lavora la ragione degli uomini: appunto lentamente, costruendo dai propri errori, correggendo le proprie stime iniziali».
Nella nostra quotidianità siamo costantemente esposti all’errore e le nostre certezze spesso virano all’incertezza, sconfinando nel mondo del casuale e dell’incognito. Dal latino probabilitas, la probabilità richiama ciò che è credibile o verosimile, in base a informazioni pregresse e sicure. E per chi, in cerca di etimologia, evoca il verbo probare, probabile è anche ciò “che si può approvare”.
Boezio, nel De differentiis topicis, associa il probabile e l’attendibile. E ritiene tale «quanto appare a tutti, o a molti, o ai dotti e ai sapienti, e tra costoro ai più stimati e insigni, oppure a coloro che in qualche arte siano divenuti esperti». Così, il filosofo e senatore romano mette insieme, senza saperlo, le quattro definizioni della probabilità – classica, frequentista/statistica, soggettiva e assiomatica – tutte basate sul caso e sul riconoscimento che anche il caso/l’incognito ha le sue leggi.
Queste non autorizzano ad agire senza pensare, parlare senza sapere, vivere spinti soltanto da impulsi incorrelati. Il caso è ciò che, a poco a poco, si manifesta e ci sorprende, permettendoci di essere strumenti di gesti/parole… probabilmente corretti, che fanno intravedere “dove andare”.