Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
Una preferenza che tutti vorremmo poter condividere, e un invito alla consapevolezza che a tutti potrebbe far bene.
La preferenza è di A. Merini: «Mi piace il verbo sentire […] / Sentire è il verbo delle emozioni / ci si sdraia sulla schiena del mondo / e si sente» (Sentire). Sempre della stessa poetessa meneghina: «Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle / sentire gli odori delle cose. / Coloro che hanno la carne a contatto / con la carne del mondo. / Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore» (La semplicità).
L’invito alla consapevolezza è di un altro grande contemporaneo: «I nostri sensi interiori corrono il pericolo di spegnersi […]. L’orizzonte della nostra vita si riduce in modo preoccupante» (Benedetto XVI, viaggio in Germania, 2006).
In entrambi i casi l’attenzione è rivolta al sentire, inteso come esperienza che porta a percepire la dimensione di valore della realtà che ci circonda, della nostra e di quella di chi ci sta di fronte. Un’esperienza che coinvolge tutta la persona. Radicalmente differente dalla semplice sensazione. Mentre questa ci consegna immagini, profumi, suoni o altro, il sentire – «verbo delle emozioni» – ridisegna il nostro spazio, il nostro tempo e il modo di abitarli con sapienza affettiva. Lo sanno bene quelli che, almeno una volta in vita, si sono «sentiti presi» da una relazione, da un progetto, da una idea. Cambia del tutto la percezione dello spazio e del tempo. Si arriva a fare e a dire cose che, in assenza di quel «sentirsi presi», semplicemente non esisterebbero o comunque apparirebbero poco comprensibili.
Per il filosofo tedesco M. Scheler, il grado più intenso del sentire coinvolge il «mondo spirituale». Cioè quelle emozioni e strati affettivi più profondi che, essendo dotati di una complessa intuizione cognitiva, sviluppano l’autocoscienza personale. Certificano la maturità dei sentimenti, assicurano qualità alle relazioni e reale consistenza a un progetto di vita. Nello stesso tempo, gli stessi strati affettivi che definiscono il sentire della persona ne raccontano anche fatica e possibili contraddizioni, assieme a smarrimenti e cadute di tensione.
Perché il sentire «verbo delle emozioni» giunga al suo livello più alto, capace di diventare bussola per la vita personale e per quella relazionale, bisogna saperlo liberare da artificiose incrostazioni, che rischiano di ridurlo a un confuso sovrapporsi di sensazioni o a uno sterile ripiegamento su sé stessi. Ma è necessario, nello stesso tempo, coltivare l’umiltà di chi sa che non è mai possibile comprendere del tutto i pensieri e i sentimenti di un’altra persona.