Rubrica de Il Sole 24ore “Abitare le parole”
«Strana questa cosa dei viaggi, una volta che cominci è difficile fermarsi. È come essere alcolizzati» (Gore Vidal).
Eh sì! Il viaggio, come scrive lo scrittore statunitense, è un sentirsi esplodere dentro nel momento in cui se ne comincia ad avvertire il bisogno. Almeno, è ciò che accade a chi è disposto a farsi sorprendere da ogni angolo nuovo e a chi riesce a tenere a bada l’ansia dell’imprevisto e dell’ignoto che ogni viaggio, anche quello più organizzato, comporta.
Così lo vive chi è disposto ad abbandonare la sicurezza di ciò che è già conquistato e sufficientemente garantito. Quando è così, la mèta del viaggio non ne è la fine, quasi una raggiunta stabilità. La mèta diventa piuttosto il punto di partenza per rimettersi in cammino, alla ricerca di nuovi traguardi, di inediti orizzonti e di nuovi abbandoni.
Spesso la letteratura, da quella religiosa a quella laica, ha visto nell’esperienza del viaggio la metafora della vita umana. E, proprio per questo, si può affermare che non tutti i viaggi sono uguali. Nel nostro mondo, complesso e flessibile, il viaggio non assomiglia né alla emigrazione di Abramo né all’avventuroso ritorno di Ulisse a casa. Nomadi entrambi, hanno comunque una voce che li guida e un obiettivo per il loro viaggio. Abramo lascia Ur, la sua città, guidato dalla voce e dalla promessa di Yhwh, il Santo. Ulisse affronta le insidie del percorso, sostenuto dal desiderio di tornare a Itaca e di riabbracciare Penelope. Il viaggiare dell’uomo contemporaneo è segnato piuttosto dall’orrore di essere legato e fissato da qualsivoglia vincolo o legame.
Non è detto che questa sua condizione lo porti necessariamente a sfracellarsi contro gli scogli o a perdersi nel deserto. Resta comunque una straordinaria opportunità. Per rimanere tale, però, esige che ci si fermi di frequente per misurare i propri passi e valutare la direzione verso la quale si sta camminando.
Il cuore e il desiderio non bastano. E, se è vero che «i sentieri si costruiscono viaggiando» (Franz Kafka), è anche vero che nel viaggio della vita bisogna imparare, non solo a fermarsi, ma anche a coltivare l’umiltà di scegliersi dei compagni di viaggio. Vae soli!, ammonisce un autore biblico: «… guai a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi» (Qoèlet, 4,10).
Il viaggio comincia con la partenza. Partenza è denominativo di pars (parte) e deriva dal verbo latino partire, che letteralmente significa dividere, separare e, per estensione, allontanarsi. Il viaggio è allora anche esercizio di allontanamento, più o meno deciso, da abitudini. Ma è anche straordinaria possibilità di acquisirne altre, ridefinendo semmai emozioni, relazioni e progetti.