Rubrica de “Il Sole 24ore” Abitare le parole / Intimità – «A volte succedono cose strane, un incontro,/un sospiro, un alito di vento che suggerisce/nuove avventure della mente e del cuore./ Il resto arriva da solo, nell’intimità dei misteri del mondo». A pochi giorni dall’anniversario di morte di Alda Merini, affido a lei il compito di introdurci nella parola intimità, tanto vicina, ma anche diversa dalla parola interiorità. La parola intimità deriva dal latino intimus (“il più dentro possibile”), superlativo assoluto di “internus” (ciò che è dentro), mentre “interior” (più dentro di qualcos’altro) ne è il comparativo.
Evocando la “intimità dei misteri del mondo”, la Poetessa dei Navigli ci spinge ad andare decisamente oltre il comune uso che si fa della parola intimità, ridotta spesso all’intesa fisica tra due persone fino a una eccitante prossimità erotica. L’ “intimità dei misteri del mondo”, ci introduce a tutto ciò che, non solo a livello personale, va al di là del visibile, del prevedibile e, talvolta, anche del comunicabile. Non per questo l’intimità è lontananza dal frastuono e dalle aggressioni del mondo; né è una sorta di messa al riparo da irruzioni dall’esterno che rischiano di mettere a nudo le mie fragilità e i miei limiti. Nell’intimità è in gioco invece proprio la disponibilità ad aprire un varco attraverso il quale permetto ad altro/i di gettare uno sguardo in quello che, parafrasando Sant’Agostino, possiamo chiamare “interior intimo meo”, abitato anche da limiti e fragilità. Senza percepirne il disagio.
Non riesco a pensare forma di intimità più vera e intensa della relazione di interscambio e di fusione fisiologica madre-figlio nel periodo della gestazione. Qui l’intimità si presenta come un processo graduale, che evolve nel tempo e va via via definendosi mentre si vivono esperienze relazionali. Ma l’intimità madre-figlio nel periodo di gestazione è solo l’inizio dell’esigente processo di intimità. Nel senso che essa, non solo non si sviluppa spontaneamente, ma è presto chiamata a fare i conti con la persistente paura di permettere ad altro/i di entrare nella propria vita. All’intimità ci si allena. Ed il primo passo per vivere un’esperienza di intimità vera è quello di viverla con se stessi. Sfuggire alla verità della propria vita, prendere le distanze dalla propria storia, dispensarsi con facilità dalle proprie responsabilità e coltivare forme di perfezionismo è un ostacolo insormontabile sulla via dell’intimità con altro/i. Al contrario, l’intimità richiede, da una parte, l’attitudine ad accettare la propria vulnerabilità, facendosi buoni samaritani di se stessi; dall’altra, esige autostima e chiara consapevolezza della propria identità. In tempi di identità incerte e mentre assistiamo sempre di più allo spostamento dei confini tra sfera pubblica e sfera privata, va facendosi strada una nuova cultura della intimità, chiamata a confrontarsi continuamente sul palcoscenico pubblico dei social media, divenuto luogo di narrazione di sé e della propria intimità.