“Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto”.
Mentre leggevo questo passaggio del Vangelo non riuscivo a non vedere in quel genitore il volto e la sofferenza della madre di Giò, il sedicenne suicidatosi al Lavagna qualche giorno fa. E anche nella domanda quasi imbarazzata dei discepoli (“Perché non siamo riusciti a scacciarlo”) vedo il volto deluso e implorante, ma soprattutto il tormento della mamma di Giò. Chissà quante lacrime miste a impotenza avrà versato prima di chiedere aiuto! Chissà quante volte, lei – con un lungo percorso pedagogico alle spalle – si sarà chiesta “Perché non riesco a salvare Giò?”, prima di invocare un intervento dall’aria più pedagogica che giudiziaria!
Il padre del ragazzo del Vangelo dice a Gesù: “Aiutaci e abbi compassione di noi” (Mc 9,22). Dove il “noi” si riferisce all’intero nucleo familiare chiamato a fare i conti con l’incapacità di comunicazione e col senso di una lacerante impotenza di fronte alle manifestazioni di malessere del figlio che mettevano a rischio la sua vita: “Spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo” (Mc 9,22). Il racconto del povero padre rivive la paura vissuta nei momenti in cui il figlio ha rischiato di annegare o di venire gravemente ustionato. E Gesù incontra dunque anche questa forma del dolore umano: il dolore del padre e della madre impotenti di fronte al figlio sofferente. …. (testo completo)